DISADATTAMENTO IN ADOLESCENZA E DINAMICHE FAMILIARI
- Scritto da Dr.ssa Romina Oppici
- Pubblicato in Adolescenza
- Letto 10733 volte
Per comprendere cosa spinge un giovane ad adottare un comportamento disfunzionale e disadattato è necessario fare riferimento all’analisi dell’emotività degli adolescenti e del loro sistema di appartenenza, connettendola con le dinamiche familiari.
La ricerca scientifica da tempo sostiene che la genesi del comportamento deviante e di disadattamento sia di tipo multifattoriale (Loeber et. Al., 2000, Rossi, 2004; Mash et. Al, 2006; Melchiorre, n.d.), ovvero che tale fenomeno viene concettualizzato come il prodotto dell’interazione di diversi aspetti (genetici, temperamentali, cognitivi, psicologici individuali, sociali e familiari).
Aspetti come ad esempio il temperamento irrequieto del ragazzo, un atteggiamento ostile o una limitata capacità di pensiero astratto, sono visti come fattori di vulnerabilità individuale che se combinati con alcune variabili socio-familiari - come la disgregazione familiare o un atteggiamento ambivalente dei genitori, una disciplina parentale inadeguata, la carenza nelle cure materne o la privazione paterna - costituiscono un fattore di rischio rilevante per l’emergere di problematiche di disadattamento negli adolescenti (Bertetti et.Al., 2003).
In riferimento alla dimensione familiare è stato evidenziato che la capacità dei genitori di comprendere, sintonizzarsi emotivamente e contenere il figlio nelle sue manifestazioni affettive durante la crescita, rappresenta il fattore determinante per un sano sviluppo psicoaffettivo. Tali capacità prevengono dunque il rischio di disadattamento in adolescenza ed età adulta (Maggiolini, 2014; Taransaud, 2014).
I disturbi del comportamento e le difficoltà di adattamento sociale correlano infatti positivamente con una bassa qualità dei legami di attaccamento e con una inadeguata responsività dell’ambiente familiare.
È quindi importante soffermarsi sul contributo giocato nell’attualità dalle differenti reazioni che il nucleo familiare può esprimere in risposta alle “spinte adolescenziali”, intendendo con ciò richieste di autonomia da parte dei ragazzi, contestazioni, tentativi di differenziazione, sollecitazioni all’innovazione, alla ridefinizione di regole, rapporti, alleanze, ecc..
Nello specifico occorre mettere in evidenza il ruolo che tali reazioni hanno nel contribuire a creare le condizioni che portano all’emergere di atteggiamenti socialmente inadeguati negli adolescenti.
Quali paure sperimentano gli adolescenti?
Negli anni dell’adolescenza i ragazzi si trovano spesso a provare emozioni e sensazioni intense quanto destabilizzanti quali la rabbia, la vergogna, la sofferenza, l’euforia, il senso di abbandono e di non riconoscimento, la frustrazione, la pietà, la confusione, il senso di colpa, ecc.
Ciò nonostante, l’emozione che più delle altre è trasversale negli adolescenti è la paura.
La paura nell’adolescente riguarda tipicamente due temi fondamentali: il Sé e l’Altro.
Gli adolescenti infatti da un lato vivono intensamente il timore di non essere nulla e di non essere mai abbastanza (adeguati, accettati ed amabili), di vivere una vita senza senso e/o di essere costantemente condizionati dagli altri (Coslin, 2012) e dall’altro, nonostante ne siano fortemente attratti, temono i pari e gli adulti in quanto pensano di poterne venire danneggiati (fisicamente ma anche moralmente, affettivamente).
Questo vissuto di inadeguatezza unito al timore per l’Altro, arriva a scatenare a volte in alcuni soggetti un pervasivo senso di impotenza che viene combattuto con atteggiamenti ora di fuga e di ritiro, ora prevaricanti, violenti e distruttivi, aventi lo scopo di sostenere una fragile autostima e di “neutralizzare” (anche tramite pericolosi agiti) l’Altro e la minaccia che rappresenta per il giovane.
Lasciando per un attimo il mondo interno dei ragazzi, va detto che non sono solo loro a provare paura, ma anche chi, a vario titolo, si occupa di loro: la società nel suo complesso, la famiglia come microcosmo sociale e gli “esperti” (chiamati solitamente ad intervenire in aiuto dei ragazzi più difficili).
Quali possono essere le paure dei genitori di un adolescente?
Tali paure fanno soprattutto capo al timore della disorganizzazione dell’equilibrio sino a quel momento raggiunto e del conseguente caos emotivo provocato dalla dirompenza (sebbene spesso solo potenziale) delle spinte al cambiamento provenienti dagli adolescenti.
Il carico di potenziale cambiamento che l’adolescenza porta in famiglia può quindi essere vissuto dalle generazioni più vecchie come un fattore di rischio importante rispetto alla continuazione della vita familiare così come era stata pensata e realizzata fino a quel momento: gli adolescenti infatti (spesso per paura o difesa) possono far credere di essere in grado di stravolgere l’ordine familiare vigente e di avere il potere di rovinare la vita ai familiari.
Ciò porta alcune volte i familiari ad irrigidirsi, perché anch’essi impauriti e ad agire comportamenti difensivi volti ad allontanare quegli aspetti dell’adolescenza dei figli ritenuti di maggiore rischio per la famiglia.
Tali comportamenti difensivi possono essere di due tipi: possono infatti essere messi in atto comportamenti eccessivamente repressivi (con punizioni esagerate fino a veri e propri rifiuti dell’adolescente come persona), o al contrario seduttivi e collusivi (ad esempio “comprando” il figlio con regali o denaro o ancora con “comodità” affinché egli resti in casa e non si renda autonomo, ecc…). Entrambe queste categorie di comportamenti hanno l’obiettivo di neutralizzare il potere destabilizzante proveniente dalle potenziali “ribellioni” adolescenziali.
L’adolescenza porta sempre con sé, soprattutto nelle sue forme più complesse (come la devianza), il rischio che gli adulti della famiglia vivano un senso di fallimento rispetto all’allevamento della prole e al buon adattamento sociale dei figli. Gli adulti infatti sono spesso spinti da quei comportamenti degli adolescenti che non rispecchiano le aspettative o che risultano spaventanti ed estremi (Coslin, 2012) a chiedersi “Che cosa ho fatto di male?” o “Dove ho sbagliato?”.
Analogamente a quanto visto per le sollecitazioni al cambiamento portate dagli adolescenti, esistono generalmente due tipi di comportamenti messi in atto dagli adulti per sedare l’angoscia derivante dall’idea di aver fallito sul piano educativo: il primo tipo di comportamento, che possiamo chiamare “simmetrico”, consiste nel proiettare sul figlio tutte le responsabilità per la situazione al fine di alleggerirsi e decolpevolizzarsi, secondo una logica espulsiva (“…lui/lei è cattivo/a”, “…l’ha fatto apposta per ferirmi”, “… che ci posso fare io, non posso fare più di così..”), mentre il secondo, di tipo “complementare”, si sostanzia nella tendenza dei genitori a giustificare i comportamenti del figlio scusandolo (“… non poteva fare altrimenti”, “in realtà non è proprio colpa sua, sono gli altri…”) e sposando apertamente la convinzione di avere un figlio costretto dagli eventi ad agire in un modo che non lo rappresenta per come è conosciuto dai familiari.
Una sottospecie di questo secondo tipo di comportamenti “complementari” riguarda il ricorso al concetto di “malattia” (organica, psichiatrica, evolutiva, ecc..) per giustificare in una qualche maniera il comportamento di disadattamento del figlio. Convincersi di avere un figlio “malato” può infatti dare l’illusione di sedare l’angoscia del non comprendere il senso di taluni comportamenti degli adolescenti, ma anche e soprattutto l’angoscia personale connessa al vissuto di fallimento nelle abilità genitoriali.
Va detto però che il ricorso al concetto di malattia per gli adolescenti problematici ha in realtà un effetto “perverso”, nel senso che piuttosto che allontanare l’angoscia e la difficoltà, le richiama: richiama infatti proprio quel fallimento della famiglia (e della società) che si vorrebbe allontanare connesso alla gestione dei comportamenti più estremi degli adolescenti in quanto la malattia, per come è intesa e gestita nella nostra società occidentale, necessita di un sistema di cura, il quale produce in ultima analisi l’effetto paradosso di “certificare” l’incapacità degli adulti nel gestire i ragazzi e le loro difficoltà (Timimi, 2005).
Come interagiscono tra loro le paure degli adolescenti e quelle della famiglia?
Le paure di ragazzi e famiglie interagiscono continuamente tra loro nel momento in cui vengono provate ed espresse, producendo alcuni effetti specifici.
Le reazioni della famiglia (la quale come detto rispetto ai comportamenti degli adolescenti può diventare o troppo rigida o al contrario troppo collusiva) influiscono in modo significativo sulla percezione di sé dei ragazzi e quindi anche sul loro comportamento, che ne è diretta espressione: i ragazzi infatti se la famiglia si comporterà con loro in modo eccessivamente punitivo accentueranno un duplice vissuto, di impotenza e fragilità da un lato – perché mancherà loro la fiducia di base (Erikson, 1950) – ma anche di essere “cattivi”, meritevoli quindi delle punizioni e del rifiuto della famiglia.
Al contrario famiglie che adotteranno con i figli atteggiamenti eccessivamente permissivi e collusivi stimoleranno nei ragazzi vissuti di onnipotenza e il convincimento di poter fare tutto ciò che vogliono perché “in diritto di pretendere”. Lo sviluppo del senso critico e della responsabilità per le proprie azioni ne verranno in questo caso fortemente penalizzati.
È quindi importante che la famiglia si apra al nuovo e consideri positive le sollecitazioni e i cambiamenti portati dagli adolescenti: è fondamentale che la famiglia trasformi, tramite il dialogo con il ragazzo (dialogo che deve essere aperto, franco e “caldo”) e tramite l’ascolto attento e non giudicante, questa delicata fase di vita in una opportunità di crescita per tutti.
Se ciò non avviene, i ragazzi svilupperanno e manifesteranno livelli crescenti di rabbia e disfunzionalità nel comportamento, sino ad arrivare a comportamenti francamente devianti e criminali.
Non accettare il potenziale di cambiamento portato dagli adolescenti è quindi il vero problema del nucleo familiare: ciò è direttamente connesso al costituirsi di criticità e comportamenti devianti nei ragazzi.
È importante perciò che ogni genitore possa calibrare bene le proprie scelte e le posizioni da mantenere nella relazione genitori-figli, di modo da favorire sempre il dialogo e fornire loro un rimando costante di “presenza” e di supporto a fronte di qualunque difficoltà si manifesti.

Dr.ssa Romina Oppici
Sono Psicologa e Psicoterapeuta ad indirizzo cognitivo-comportamentale.
Terapeuta esperta EMDR e specializzata nel trattamento di trauma e dissociazione.
Nel mio lavoro, mi occupo di strutturare percorsi psicoterapici, di sostegno e counseling psicologico rivolti ad adulti e coppie.
Ricevo su appuntamento presso uno studio privato sito a Erba, in provincia di Como.